Ansaldo Dr. Luca - Studio veterinario

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Una vita sospesa

11 maggio 2020 By luca ansaldo

UNA VITA SOSPESA

“Distance will keep us together”
Pat Benatar e Neil Giraldo da TOGETHER pubblicato il 27 aprile 2020

Sul monte di Portofino a mezza costa, lungo il sentiero che conduce dal paese di San Rocco fino alla scogliera di Punta Chiappa, esisteva una trattoria degna di essere raggiunta esclusivamente a piedi. Uno dei posti più belli del mondo. Era qui che decisi di regalare a Daniela l’anello di fidanzamento, un simbolo speciale in un luogo veramente speciale.
Finita la cena tornammo sui nostri passi nel buio della notte. Era maggio e fu un momento di magia pura perché venimmo contornati da migliaia di lucciole che accompagnavano il nostro cammino.

Fine Aprile 2020
E’ tarda sera e riesco a mala pena a percepire un luccichio nella tenda del salotto. Poi mi concentro e nuovamente appare quella luce magica ad intermittenza. Si, è proprio la prima lucciola della stagione, la raccolgo e la libero all’aperto rimanendo rapito dal suo fluttuare nell’aria.
Sono sempre stato attirato dai fenomeni naturali ma in questo periodo di vita sospesa, tutto, qualsiasi minimo dettaglio assume un significato particolare.
Siamo nel secondo mese di lockdown, di chiusura totale di buona parte delle attività, di distanziamento sociale da chiunque siamo abituati a frequentare. L’epidemia da coronavirus la fa da padrone. Quello che è sconvolgente e al tempo stesso confortante è che la natura fa il suo corso nella sua incredibile bellezza, noncurante di ciò che sta accadendo all’uomo.

In Piazza Alimonda a Genova è tutto serrato. Il silenzio è assordante, interrotto quasi ritmicamente dalle sirene delle ambulanze che corrono disperate al vicino ospedale. Solo la mia saracinesca è alzata assieme a quella del giornalaio di fronte a me. La legge me lo ha consentito.
Sicuramente in questo periodo avrei fatto volentieri qualcosa di diverso. Dopo mesi e mesi di lavoro intenso avevo programmato molte cose belle e speciali, eventi con gli amici musicisti, un concerto straordinario a Madrid, una vacanza rigenerante nell’isola di Lanzarote. La mia testa e il mio fisico ne avevano assolutamente bisogno e me lo ero meritato.
Ogni cosa saltò una dopo l’altra. Il covid non perdona, si diffonde con una velocità supersonica in ogni angolo della terra, con la mia rabbia che aumenta fino allo sconforto. E allora faccio quello che mi resta da fare, cioè lavorare. E’ nella mia natura.

D’altronde quando tanti anni fa, sciando, mi ruppi il trochite dell’omero, il mattino seguente, ancora inconsapevole del danno per errata diagnosi, mi trovai a sollevare un rottweiler e per un mese continuai a lavorare con un braccio solo. Per non parlare di pochi anni fa quando mi ruppi le ossa della mano sinistra e con i chiodi che mi uscivano dai metacarpi, già il giorno dopo l’intervento, ripresi imperterrito a lavorare.
D’altronde qualcuno mi aveva insegnato a camminare sui carboni ardenti non molto tempo fa, esperienza unica e piena di significato, che mi ha rafforzato e grazie alla quale tendo ad affrontare le vita a modo mio.
Quindi alzai la saracinesca, quasi convinto di impiegare il tempo per fare cose in studio che normalmente non riesco a compiere con serenità, cioè mettere in ordine, leggere, seguire nuovi aggiornamenti. Mi sbagliai.

Nelle prime due settimane di aprile, in pieno picco epidemico, effettivamente subii un tracollo di visite ma in compenso arrivarono decine e decine di telefonate e messaggi cui rispondere. Mi trasformai in veterinario telefonista cercando di risolvere a distanza quello che si poteva. Io ne ero felice. Era un modo importante per stare vicino ai miei clienti e per sentirmi utile saziando la mia passione per il lavoro.
Sfiorai in maniera infinitesimale la disperazione del momento quando mi fu chiesto da parte di una importante associazione che si occupa di malati terminali se avessi la disponibilità di reagenti per l’esecuzione di emogas. Un rapido tam tam aveva condotto al mio nominativo. Un medico si precipitò in studio a prendere il materiale. Non mi era mai successo in quasi trent’anni di lavoro.

Accolsi il racconto dei coniugi Arpi, miei fedeli clienti, con la loro incredibile ed innumerevole famiglia di Bouledogue francesi e di gatti persiani. La signora mi confidò che sua mamma di 69 anni, era in fin di vita nell’ospedale di Cincinnati in America. Aveva festeggiato pochi giorni prima con figli e nipoti tra i quali girava un pò di influenza. Fu tra le prime ad essere intubata in quella città.
Quel fine settimana tutti i fratelli si vestirono di bianco, chi dal Sudamerica, chi dagli Stati Uniti, chi dall’Italia, tutti collegati via computer per salutare per l’ultima volta la mamma a cui piaceva molto quel candido colore.

Non continuai per molto a fare il telefonista perché la natura nel bene o nel male continua a fare il suo corso. Il lavoro rientrò quasi inaspettatamente alla normalità, con casi complessi da risolvere, tumori pericolosi da estirpare, cardiopatici e diabetici da seguire.
Un cliente in attesa fuori dall’ambulatorio mi fece notare: “ Dottore, sono tornate le rondini e c’è anche una gazza ladra che sta facendo il suo lavoro !”
Era una giornata splendida come tante in questa parentesi di vita sospesa. Sono dettagli in grado di darci speranza e che vale la pena di cogliere.
L’altra sera ho visto la seconda lucciola di stagione nel mio giardino, volteggiare libera nell’aria.
Appena ci sarà possibile Dany ed io raggiungeremo al tramonto il monte di Portofino per assaporare la magia di quelle luci e il ritorno alla normalità.

Luca Ansaldo

 

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Una distesa di corpi

22 febbraio 2019 By luca ansaldo

UNA DISTESA DI CORPI

Talvolta le cose non vanno come previsto. L’incognita è dietro l’angolo
quando meno te lo aspetti. I clienti contano su di noi come perfetti
risolutori dei loro problemi e noi veterinari ce la mettiamo tutta,
certe volte impegnandoci anche contro l’impossibile. Ma spesso il
percorso diventa accidentato con ostacoli pericolosi prima del
raggiungimento della meta.

Mirto è un bellissimo Jack Russell di 10 anni. Lo conosco da sempre e
lui chiaramente mi odia. Ha ragione, l’ho bucato mille volte per
iniezioni e prelievi, l’ho palpato, ecografato. Insomma, è il classico
cane che se ne starebbe volentieri alla larga dal suo dottore. I
proprietari, un nevrile giovanotto con poderosa stretta di mano e la
bionda compagna dallo sguardo ammaliante, lo adorano.
Lo visito per il classico vaccino come avevo fatto decine di volte.
Anche in questo caso cerco di essere scrupoloso, anche se rapido, dando
uno sguardo a 360 gradi, dalla testa ai piedi. Soffermandomi sugli occhi
mi rendo conto che qualcosa non quadra. La pupilla dell’occhio destro
non mostra la classica rotondità. Poi ventralmente, davanti all’iride,
scorgo una piccola massa nera. La sclera, anziché essere madreperlacea,
è iniettata di sangue. Con orrore penso al melanoma.

In pochi secondi una banale visita di controllo può svelare risvolti
drammatici. Cerco di mantenere la calma e di spiegare. Invito i
proprietari a rivolgersi ad uno specialista. L’oculista conferma il mio
sospetto eseguendo un’ecografia oculare e consiglia l’enucleazione.
La mattina dell’intervento è difficile. I genitori di Mirto sono
visibilmente sconvolti, probabilmente non hanno dormito tutta la notte
ed anche io non sono in forma smagliante. L’idea di alterare quel viso
perfetto è pesante come un macigno. Ci facciamo coraggio e si inizia,

con mia moglie Daniela al mio fianco.
L’intervento fila liscio. Richiudo tutto con un risultato estetico più
che accettabile. Spiego ai proprietari come gestire il postoperatorio,
mentre il Jack Russel si risveglia e si mette in piedi. Fantastico.

Peccato che nel giro di pochi secondi l’aumento pressorio scateni
un’emorragia talmente imponente che la pelle sotto la sutura si gonfia
come una grande noce fino a far sgorgare il sangue all’esterno. Il
giovanotto scappa letteralmente dalla stanza. La compagna inizia ad
assumere il colorito dei suoi capelli biondi per poi crollare sulla
sedia, lamentando uno strano formicolio alle mani. Le consiglio di
stendersi immediatamente a terra, invitando Daniela a sollevarle le
gambe per far refluire il sangue al cervello. Il papà di Mirto rientra
in studio e mi chiede se sia il caso di dare alla signora qualche goccia
di lexotan che aveva portato con sé. Io riprendo un attimo in mano la
situazione incoraggiando la ragazza e consigliando di concentrarsi sulla
respirazione con respiri lunghi e profondi, tutto questo mentre Mirto si
trasforma in una maschera di sangue. I meravigliosi farmaci che ho in
dotazione lo fanno sprofondare rapidamente nel sonno permettendomi di
risolvere la sgradevole complicazione. Passerò poi con lui tutto il
pomeriggio per non avere più brutte sorprese. L’indomani mattina Mirto
avrebbe spazzolato la sua ciotola, finalmente felice a casa.

Ecco la meravigliosa vita del veterinario ! Certo, questa non è la
routine, ma bisogna essere pronti ad ogni evenienza. Soprattutto agli
innumerevoli svenimenti.
La prima a cadere a terra in Piazza Alimonda fu proprio mia moglie,
sempre durante un’operazione a un occhio. Eravamo alle prime armi. Si
trattava di una cosa estremamente semplice: asportare con il bisturi una
piccola neoformazione cutanea sul margine palpebrale di un Cocker con
una incisione a cuneo. E’ bastata una piccola goccia di sangue ad
allagare l’occhio e a far crollare Daniela. Terminai di operare, con lei
in posizione orizzontale. All’epoca non avrebbe mai pensato di potermi
abilmente assistere a un ben più complesso intervento di enucleazione.
Ma ci sono clienti che si impressionano per molto meno. A volte basta
solo la visione di un ago per far precipitare la pressione e vedermeli
stesi in giro per tutto lo studio. Se solo potessi immaginarmeli tutti
all’unisono, potrei scorgere una distesa di corpi in ogni stanza.

Ricordo la proprietaria di un Boxer che avevo fatto operare da un
veterinario ortopedico per la rottura di un legamento crociato. Il
collega era stato molto preciso sulla tempistica per sfasciare la zampa
e togliere i punti. Eseguii. In un attimo la ferita chirurgica si aprì
come una cerniera lampo.
Bam !! La signora crollò a terra con movimenti involontari che le
scuotevano tutto il corpo. Il cane, bravissimo, rimase sul tavolo. Cosa
non da poco, dal momento che per qualche minuto dovetti concentrarmi nel
rianimare la proprietaria. Appena riprese il colorito roseo, mi dedicai
a suturare quel povero Boxer che non fece una piega mentre passavo il
filo chirurgico da una parte all’altra della ferita.
L’esperienza mi ha insegnato a mantenere il sangue freddo in molte
situazioni difficili. Certe volte avverto immediatamente il malessere
dei clienti e li faccio subito stendere a terra aiutandoli a sollevare i
piedi, prima che possano svenire. La forza di gravità permette al sangue
di ricircolare al cervello in poche frazioni di secondo. E’ possibile
percepirlo mentre refluisce alla testa e la sensazione di benessere è
istantanea.

Lo posso affermare per esperienza personale dal momento che un giorno
toccò anche a me di crollare nel mio ambulatorio. Stavo concludendo la
visita di un Siamese coriaceo quando alla proprietaria venne in mente
una bella idea. “Dottor Ansaldo, sa quell’antipulci per bocca che mi
aveva prescritto ? Io non riesco proprio a darglielo. Potrebbe mostrarmi
come fare ?”
“Tranquilla signora, ci penso io”. Inconsapevole del pericolo,
somministrai il contenuto dell’ampolla nelle fauci di quel piccolo
diavolo che mi perforò all’istante la base dell’unghia del dito indice.
Il dolore fu lancinante. Mi precipitai verso il lavandino per versarmi
dell’acqua fredda. In quel frangente rimasi colpito nel vedere uno
zampillo di sangue che si ergeva orgoglioso a un centimetro di altezza
dall’unghia.
La signora apostrofò:” Ma dottore, ma lei è bianco come un cencio ! “
Feci appena in tempo a cacciare tutti via, fuori dallo studio.
L’ipotensione provocata dal forte dolore mi costrinse a stendermi a
terra, alzai i piedi ed immediatamente percepii il flusso di sangue
pronto a riossigenare il mio cervello. Il dolore purtroppo proseguì
anche nei giorni successivi. Nonostante assumessi subito antibiotici e
antiinfiammatori il dito si gonfiò enormemente.
Il pathos di quell’esperienza, pur se negativa, mi insegnò a essere
più empatico, a capire meglio chi possa trovarsi in una situazione
analoga e ad agire di conseguenza.

La sera dell’intervento di Mirto, Dany ed io tornammo a casa, bisognosi
di riposo dopo una giornata certamente intensa. Sulla tavola ci aspettava
un ottimo stoccafisso condito con olio, pinoli, olive e pomodorini. E’
vero, talvolta le cose prendono una piega sbagliata. Cercammo di
sdrammatizzare. Brindammo a lume di candela alle nostre peripezie e ci
abbracciammo. E’ la nostra forza.

Luca Ansaldo

Filed Under: Racconti

I mille volti della censura

3 settembre 2018 By luca ansaldo

I MILLE VOLTI DELLA CENSURA

Ci vuole un bel fegato per fare il veterinario. Non si tratta solo di prendere decisioni delicate e di metterle in atto, come togliere il colon di un gatto non più funzionante o infilare un ago vicino al cuore di un cane per aspirare un imponente versamento pericardico. Bisogna anche avere a che fare con i tuoi pari, cioè con i colleghi che ti circondano. Come buona parte delle cose importanti questo aspetto non ti viene certo insegnato all’università. Si basa piuttosto sulle regole del rispetto e della buona educazione, elementi fondamentali del vivere civile.
“Dottor Ansaldo, ma lei sta bene ?” Avevo di fronte a me nonna e nipote, clienti di vecchia data, e mi ero reso conto che nel corso della visita mi scrutavano in modo inusuale.
“Sa, perchè gira la voce che ha avuto un infarto e che ha dovuto subire un intervento chirurgico !”.
Rimango sbigottito e al tempo stesso divertito. Effettivamente non avevo una bella cera. La stanchezza ed il carico di lavoro eccessivo certo potevano dar credito ai loro pensieri.
                                                                  —————————————————
Estate 1991. Avevo da poco intrapreso l’avventura di fare il medico degli animali quando mi arrivò un inaspettato benvenuto dall’Ordine dei medici veterinari della provincia di Genova. La lettera intimava di eliminare quanto prima la bella insegna posta sull’ingresso del mio studio. Io ne andavo fiero. Avevo speso un capitale. La scritta Studio Medico Veterinario Alimonda corredata del simbolo a croce azzurra troneggiava fra un cane a destra ed un gatto a sinistra, disegnati dal progettista che avevo incaricato. Il tutto veniva illuminato da cinque neon in grado di dare un tocco di eleganza e di lucentezza all’angolo buio della piazza. Un vero capolavoro.
Ma le regole pubblicitarie imposte dall’Ordine erano eccessivamente restrittive. Il tutto andava radicalmente rivisto. La parola Alimonda doveva essere eliminata, Studio Medico Veterinario ridotto a Studio Veterinario. Il cane ed il gatto andavano poi assolutamente cancellati. Dei neon poi non se ne parlava: furono spenti definitivamente. L’insegna si sarebbe trasformata in una targa che non poteva oltrepassare dimensioni ben precise. Insomma, stavo dando fastidio a qualcuno. Meno persone possibili dovevano sapere della mia attività. Potevo contare sul lento, lentissimo passa parola, che è poi lo strumento che negli anni ha sempre funzionato alla grande e mi ha permesso di rimanere a galla.
Dopo alcuni mesi, nella disperata ricerca di clienti, accolsi con gioia la richiesta di un gestore di un negozio di animali a Sampierdarena. L’accordo era di effettuare visite su appuntamento in una stanza dedicata all’interno del negozio ogni sabato pomeriggio. La cosa sembrava funzionare fino a quando arrivò un’altra simpatica lettera dell’ordine dove venivo invitato a comparire davanti al consiglio per rispondere personalmente in merito a gravi violazioni del regolamento.
A mia insaputa le due negozianti avevano pubblicizzato con tanto di volantini la loro attività nel corso di un’importante mostra canina a Genova, specificando nero su bianco la presenza di un veterinario nella struttura. Un fatto inaudito per le regole dell’epoca. Nel giro di pochi giorni mi ritrovai a Piazzale Bligny, zona macelli, in una stanza buia, circondato da colleghi arcigni, con una lampada piantata sulla faccia, stile interrogatorio nazista.
Evidentemente avevo di nuovo dato fastidio a qualcuno. La cosa che mi sorprese fu la serenità con cui affrontai i colleghi. Io mi sentivo peraltro innocente e dal mio punto di vista non dovevo pagare per errori commessi da altri. Uno di loro mi disse se non mi vergognavo di lavorare nell’ambito di un negozio di animali. Gli risposi perentoriamente che la bravura del veterinario non la fa certo l’ambito in cui viene svolta, ma semmai la capacità e la qualità del singolo professionista.
Fui congedato con l’esplicito avviso di far estrema attenzione a come mi sarei mosso in futuro. Altri errori mi sarebbero potuti costare caro.
Una decina di anni dopo mi arrivò una telefonata. “Ciao Luca, ti andrebbe di far parte del consiglio ?”. Era il nuovo presidente dell’Ordine. Cercava volontari da inserire nel direttivo. In quel periodo avevo assunto l’incarico di delegato per la provincia di Genova per la più importante società culturale italiana di veterinari. Il mio compito, assieme a quello degli altri delegati della regione Liguria, era quello di organizzare eventi per incontrare veterinari di spessore nazionale. Evidentemente negli ultimi anni si era accresciuta la mia credibilità. Dissi di si al presidente e mi ritrovai al di là della barricata.
Fu l’inizio di una seconda fase. Fino a quel momento avevo condotto la mia attività col paraocchi, diffidando dei colleghi. Per la prima volta avevo l’opportunità di confrontarmi con loro a 360 gradi rendendomi conto che in realtà siamo tutti sulla stessa barca. Mi sono sentito finalmente far parte integrante di una categoria ed il mio atteggiamento sospettoso verso i miei pari si è trasformato in un rispetto nei loro confronti. Nel giro di pochi anni avrei potuto ricoprire incarichi più prestigiosi che mi sono stati proposti da entrambi i consigli. Ma non era la strada che intendevo percorrere. Avrei dovuto sottrarre tempo prezioso alla famiglia e al vero mestiere di veterinario, per cui presi il buono da questa esperienza, lo misi in saccoccia, e lasciai il posto agli altri.
Passarono quindi molti anni di lavoro intenso, migliaia di casi affrontati prima di incappare in una nuova censura da parte di colleghi. Il mondo della comunicazione nel frattempo si era trasformato ed il web e i social media presero il sopravvento. Io maturai l’idea di raccogliere i miei racconti in un libro ed il progetto si realizzò in un battibaleno. Ora si trattava di diffondere la notizia anche perchè uno scrittore sconosciuto ha poche chance di vendere migliaia di copie. Facebook poteva sembrare lo strumento vincente ma ebbi pochi concreti riscontri. Tutto questo fino a che non incappai in una pagina facebook di veterinari molto interattiva. Il gruppo è nato come supporto a colleghi che stanno attraversando crisi professionali o personali. Le sue finalità sono lodevoli perchè permette a chiunque faccia la nostra professione di sfogarsi con i propri pari e di trovare un aiuto immediato. Nella descrizione del gruppo viene specificato anche che sono invitati a partecipare “tutti quelli che abbiano voglia di condividere gioie, successi, momenti positivi” e che il forum non è volto a fini pubblicitari.
Commisi l’errore di postare la notizia del mio libro senza chiedere il permesso agli amministratori. Fu una pioggia di mi piace e di commenti favorevoli da parte di veterinari forse sfiniti dalla miriade di notizie negative che ci circondano. Tutto questo fino a che un amministratore del gruppo si accorse del riscontro inaspettato per poi cancellare istantaneamente ciò che avevo scritto, considerandolo mera pubblicità. Il collega mi inviò un messaggio privato ammettendo il suo atteggiamento poco democratico. Questa fu la mia risposta:” Ciao, non posso che essere perplesso per quanto sia successo anche se tu senz’altro dal tuo punto di vista hai ragione, primo perchè non ho chiesto il permesso, secondo perchè il fatto stesso di diffondere la notizia sul libro presenta in sé il vizio di essere un’azione pubblicitaria. Quello che più di tutto mi ha fatto piacere è stata la risposta di chi ha letto il post. Nessun gruppo nel giro veramente di pochi secondi ha reagito in modo così entusiasmante. Ti posso garantire che il ritorno economico che ho dal libro è nullo rispetto alla gioia di condividere una cosa bella ed è con questo spirito che l’ho fatto. Quindi non si tratta di un’azione eseguita con cinismo. Il tuo forum è un gruppo di auto-aiuto per cui anche il fatto di vedere gli aspetti positivi delle cose può aiutare chi è in difficoltà. Ed è per questo secondo me che il post nel giro di poco è stato apprezzato da molti. Ti auguro una buona giornata”. Non arrivò nessuna risposta.
Dopo qualche settimana riprovai ad inserire la notizia. Fu la solita storia: pioggia di mi piace, commenti positivi, la censura dopo poche ore da parte del solerte amministratore. Non mi diedi per vinto. A distanza di un mese postai uno dei miei racconti senza però scrivere alcun riferimento al libro. Ciò nonostante i commenti ricevuti erano troppo belli per essere sopportati dal collega il quale si adoperò all’istante per bannarmi (cioè escludermi dal gruppo per aver violato ripetutamente le regole) zittendomi per sempre.
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Estate 2018 “Guardi, le assicuro che io non ho avuto nessun infarto “. Cerco di rassicurare al telefono la cliente mal informata. “ Non so cosa dirle, dottore, oramai gira la voce nel quartiere e nei parchi”. Tento di immaginare da dove potesse provenire questa notizia aberrante ed improvvisamente, quasi incredulo, realizzo.
Per alcuni anni ho collaborato con una grossa clinica di Genova. A causa di diatribe interne i colleghi si erano ritrovati da un giorno all’altro senza il veterinario che si occupava di cardiologia. Chiesero a me un aiuto. Si trattava di recarsi presso la loro struttura una volta alla settimana, portando tutte le mie attrezzature, per eseguire le visite cardiologiche programmate. Chiaramente a me comportava la chiusura dello studio per quel pomeriggio, ma mi permetteva di concentrarmi su di una materia che mi ha sempre appassionato. Ero inoltre contento, anche se come esterno, di far parte di una equipe di colleghi, famosi nell’ambiente come refrattari a richiedere aiuti al di fuori della clinica. Era chiaro fin dall’inizio che si sarebbe trattato di una collaborazione momentanea per dare a loro il tempo di sviluppare una figura professionale dedicata alla cardiologia.
Mi ero posto l’obiettivo di durare almeno un anno. Il tutto durò tre anni e undici mesi. Con alcuni dei colleghi avevo sviluppato un bel feeling e si era creata una sana collaborazione. Talvolta i loro clienti venivano inviati presso il mio studio per le emergenze cardiologiche mentre i miei clienti che necessitassero di visite notturne e festive venivano dirottati in clinica. Un giorno il nipote di uno dei soci mi dice: “Luca, sto seguendo un percorso didattico di cardiologia per cui sappi che in futuro me ne occuperò io”. “Guarda, non c’è problema, appena sei pronto me lo dici ed io mi farò da parte”. Passarono varie stagioni. Io entrai in un periodo molto critico con mio padre che si ammalò gravemente senza evidenti vie di uscita. Per di più mi fratturai la mano sinistra. Non il massimo per un veterinario. Con due fili di kirschner che uscivano dal quarto e quinto metacarpo ed una valva che mi bloccava l’avambraccio lavorai per due mesi facendo praticamente tutto, tranne gli interventi chirurgici, con mia moglie che mi scorrazzava ovunque perchè non ero in grado di guidare in quelle condizioni, né avrei potuto per legge.
Persi mio padre. Il giorno del rosario mi erano state programmate quattro ecocardiografie. Decisi di farle. Avevo giusto il tempo prima della cerimonia ed io avevo assolutamente bisogno di anestetizzarmi, di non pensare a quello che mi stava accadendo. Alla mia successiva richiesta di pagamento per il lavoro svolto mi venne contestata per la prima volta una visita che secondo i colleghi non avrei effettuato proprio il giorno del rosario. Un tempismo perfetto. Peccato che il mio ecocardiografo registra tutti gli esami con tanto di data, per cui dimostrai di avere ragione. Di lì a poco ci fu un drastico calo di appuntamenti in clinica fino al silenzio assoluto. Tutto questo senza alcuna giustificazione. Come era naturale qualcuno aveva preso il mio posto. Ma si trattava semplicemente di segnalarmelo secondo le giuste regole del rispetto e della buona educazione. C’era comunque un inghippo. Per quasi quattro anni, anche se come esterno, sono stato il cardiologo della struttura, per cui i clienti continuavano a chiedere del Dottor Ansaldo. In qualche modo bisognava giustificare la mia assenza. Di fronte alla notizia del mio presunto infarto il sospetto sopraggiunse. Mi ci vollero cinque minuti e due telefonate per avere la conferma. La voce proveniva nero su bianco dalla clinica.
La cosa mi divertì moltissimo. Alle volte stenti a credere a quale livello certe persone possano arrivare fino a rallegrarti quando hai la conferma di quanto tu sia diverso da loro. Non voglio chiaramente criminalizzare la clinica anche perchè sono convinto che la brillante iniziativa sia stata escogitata da pochissimi elementi. Anche in questo caso metto in saccoccia quanto di positivo mi abbia regalato l’ennesima esperienza, mi rimetto il paraocchi e vado avanti per la mia strada.

Luca Ansaldo

 

 

 

 

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Uno squarcio nel muro.

28 maggio 2018 By luca ansaldo

Inaspettatamente perdo il mio sguardo nel cielo, ne ammiro la bellezza e mi ritrovo a salutarti. In realtà sto compiendo un gesto banale mentre ad una pompa di benzina riempio il serbatoio della macchina. Ma sono nel bel mezzo del Golfo Paradiso, in una frizzante serata primaverile, al ritorno da una faticosa giornata di lavoro verso casa, e la mente vaga dove l’istinto la porta e mi chiedo dove tu sia, come tu ti possa sentire ora e ti vedo salutarmi col tuo bel sorriso.
Passano solo pochi giorni per risvegliarmi in piena notte a rimuginare sul mistero di ciò che ci porta via di qui e l’immagino come un muro che si erge per soffocarci.
Penso alle terapie come ad un mezzo per squarciare quel muro. Penso a quello che è stato fatto e a quello che era impossibile realizzare. Poi ragiono su come noi veterinari viviamo una versione tutta nostra dell’esistenza. Nelle nostre mani passano concentrati di vita. Siamo in grado di sperimentare la nascita e la morte in un solo giorno. Le sfide quotidiane ci abituano a combattere contro quel muro. Talvolta lo squarciamo. Altre volte ne veniamo squarciati.


E’ impressionante la velocità che ci ruota attorno e bisogna essere forti per non venirne sopraffatti. Ma siamo bravi, noi veterinari, perché abbiamo gli strumenti giusti per scalfire quella roccia malefica della malattia, con la chirurgia, le terapie sempre più innovative, le chemioterapie e, non meno importante, la comprensione ed il supporto dei nostri clienti.
Io però ho avuto un aiuto ulteriore, formidabile. Per più di un quarto di secolo sono stato onorato della sua presenza, una presenza gentile, mai invasiva. Alcuni lo chiamavano dottore, altri professore, e lui se la rideva con i suoi occhi brillanti. Gli ho fatto fare cose inimmaginabili e spesso se ne riparlava di fronte ad un piatto fumante di spaghetti. “Luca, guarda, sei stato fortissimo perché era un intervento proprio difficile !”.
In realtà se ero stato bravo lo dovevo proprio a lui che mi ha visto nascere dal punto di vista professionale ed ha partecipato attivamente a tutte le mie evoluzioni. Spesso mi dava anche consigli. Se mi trovavo in difficoltà, poteva sorprendermi con le sue soluzioni alternative. Così era diventato il mio aiuto in chirurgia, nelle emergenze notturne come nella routine, dagli interventi più banali fino alle sfide impossibili. Io lo volevo perché mi trasmetteva serenità e perché avevamo un momento tutto nostro.
Un giorno mi regalò la storia della sua infanzia sintetizzata in poche pagine. Questo che segue è un breve estratto.
“ Quel periodo, nel bene e nel male, è servito a formare in noi i caratteri necessari per superare in seguito le traversie che la vita ci avrebbe posto davanti. Quando la guerra terminò, mio papà riprese a lavorare. Ricordo che ogni mattina partiva col treno accompagnato da un cane chiamato Flak, che tempo prima avevo trovato ad un posto di blocco delle Brigate Nere ed al quale avevo dato un pezzetto della mia merenda.
Lui mi era venuto dietro e non mi ha più lasciato. Ebbene, non ci crederete mai, quel cane fantastico andava ad aspettare mio padre anche alla sera in stazione quando ritornava a casa per cena. Senza che qualcuno glielo avesse insegnato faceva pure la guardia alla casa e guai se si avvicinavano persone sconosciute.
Ebbi anche una cagnetta, si chiamava Diana. Era incrociata con un cocker e serviva per andare a caccia. Mi accompagnava pure a fare la spesa all’unica bottega del paese. Andavo con un libretto dove il negoziante segnava gli acquisti che poi la mamma passava a pagare alla fine del mese. Il libretto lo portava in bocca Diana. Un bel giorno però, forse rincorrendo un uccellino, ritornò senza, e per me furono sgridate sonore da parte di mia madre. Da quel giorno la cagnetta dovette abituarsi a portare dei bastoncini di legno.
Quando dovemmo partire definitivamente la regalammo ad un bravo contadino del posto. Fu molto triste doverli lasciare, soprattutto Flak, che ci accompagnò alla fermata del treno per l’ultimo nostro trasferimento a Genova. Non potevamo portarlo con noi in quanto avevamo trovato un appartamento che bene o male ospitava soltanto noi quattro. Quella volta, quando mi affacciai al finestrino e lo vidi che guardava il treno in partenza, piansi e penso che anche il bravo cane pianse. Sono certo però che dopo anche lui se la sia cavata. Era una bestia intelligente e forte.”
Quando lessi la storia, fu difficile dimenticarla e compresi quanto fosse profondo e univoco il nostro modo di vivere le cose.
Negli ultimi anni di fronte ad una minestra calda il cucchiaio cominciò a tremare minacciosamente. Era un tremore essenziale poco preoccupante. Al tavolo chirurgico, però, avveniva costantemente il miracolo. Le sue mani afferravano i ferri chirurgici con una sicurezza disarmante. Il tremolio, magari, ricompariva un’ora dopo nel sorseggiare un bicchiere di vino e ne ridevamo entrambi.
Intanto in modo subdolo si stava ergendo il muro attorno a lui. Nessuno se ne era accorto.
Quando i medici realizzarono, furono in grado solo di rimuovere la punta dell’iceberg. La guerra era persa. Io quel muro non sono riuscito a squarciarlo, quel muro che spesso riesco ad abbattere e che altrettanto spesso travolge me e i miei pazienti.
L’orologio biologico ha un tempo definito. Lo puoi forzare un pochino ad andare avanti, ma prima o poi il meccanismo si inceppa. Gli strumenti che la medicina ci fornisce permettono solo di truccare il tempo, di dilatarlo, e non è poca cosa. Ma alla fine è un gioco ad armi impari. E così mi sono ritrovato ad accarezzare il suo viso quando non c’era più, a lisciarlo per mostrare a tutti quanto era bello.
Penso spesso a lui, sento la sua voce, gli chiedo di parlarmi. Guardo verso il cielo e lo ringrazio per la bellezza che mi ha regalato. Gli sono grato per i valori che mi ha trasmesso.
Quell’uomo era mio padre.

Luca Ansaldo

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I fantasmi di Guimaraes.

10 dicembre 2016 By luca ansaldo

Ognuno di noi ha un proprio spirito guida. E’ quella vocina interna che ti consiglia, ti aiuta a prendere le giuste decisioni e che di fronte ad un bivio ti dice se andare a destra o a sinistra. Poi tu stabilisci se darle retta o se ignorarla. Può essere fonte di ogni tua azione, di ogni frase detta, della giusta stretta di mano o di un sorriso regalato.

Lei è lì, presente, inesorabile, pronta ad agire. Ma la differenza sta nel saperla usare e nel saperla riconoscere. Nella magia c’è sempre un trucco. Qui il trucco è diventarne consapevoli. Io l’ho incontrata e riconosciuta qualche anno fa, una calda sera d’estate a Guimaraes.

Amo con la mia famiglia esplorare gli angoli più disparati della terra. Avevamo visitato in varie tappe le isole portoghesi, iniziando dalle più remote, le Azzorre, per poi approdare a Madeira. Rimaneva da scoprire il Portogallo continentale. Fu lui la destinazione della nostra vacanza quell’anno. Eliminai a priori dal progetto di viaggio le classiche mete turistiche per approfondire luoghi meno battuti, localizzati più nell’entroterra.

Guimaraes fu tra quelli e fu un tuffo nel passato. I viottoli e i claustri del centro storico trasudano di magia, quella magia che non a caso ha dato i natali ad Alfonso Henriques, il primo sovrano del regno del Portogallo. Dicono di lui che fosse molto bello. Le sue capacità gli permisero di ribellarsi agli spagnoli per l’ottenimento dell’indipendenza e di respingere gli arabi dal sud della regione.

E’ tra le antiche piazze di Guimaraes, orlate da terrazze in ferro e da balconi in granito, che indugiammo oltre il tramonto, ammaliati dall’atmosfera fiabesca. Lì le calde luci artificiali proiettate sulle antiche mura fermarono il tempo e stamparono le nostre ombre su quelle pietre. Mio figlio Gabriele colse l’attimo e fotografò il mio profilo e quello di mia moglie, come fantasmi inaspettatamente svelati dalla loro celata dimensione.

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La prima volta che vidi quella foto rimasi ammaliato. Quelle forme sembravano vive, come provenire da un aspetto primordiale di me stesso, forse più genuino, forse il meglio di quello che sarei potuto essere. Quel fantasma cominciò da allora a sussurrarmi, a consigliarmi su ciò che era giusto o sbagliato, prima forse ad un livello più inconscio, poi in modo sempre più consapevole.

Spesso il mare delle emozioni nel quale nuotiamo ogni giorno ci spinge dove non vorremmo mai arrivare. Ho deciso di non essere un naufrago e di sfruttare le mie emozioni dove io voglio arrivare. Quella vocina interna mi aiuta in questo. Quell’immagine granitica di Guimaraes mi dà la giusta forza. E così vedo sempre più il bello in ciò che mi circonda. Apprezzo sempre più i miei  clienti che vogliono il massimo da me. Colgo la magia nei loro occhi quando mi parlano dei loro animali. Tuffo le mie mani in quei soffici mantelli percependone il calore.

E così inizi a capire perchè tra i tanti proprietari alcuni, conosciuti ormai da un quarto di secolo, si ostinino a tornare da te. Capisci perchè sia stato scritto quel biglietto dove si ringrazia per aver regalato qualche giorno in più a Kim, tanto da avergli permesso di vedere, anche se per l’ultima volta, la neve.  Comprendi perchè dopo aver lottato a lungo assieme, ti trovi costretto ad addormentare per sempre un barboncino e dopo qualche giorno ti viene portato in dono un enorme cesto, degno del Natale, quando però il Natale non c’entra affatto.

Grazie Guimaraes per la magia che mi hai offerto ! Lo spirito di Alfonso Henriques regna ancora sovrano tra le tue vecchie mura. I tuoi viottoli pullulano di bei fantasmi che non aspettano altro che di essere svelati.

Io il mio l’ho scoperto e me lo tengo ben stretto.

 

Luca Ansaldo

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