UNA VITA SOSPESA
“Distance will keep us together”
Pat Benatar e Neil Giraldo da TOGETHER pubblicato il 27 aprile 2020
Sul monte di Portofino a mezza costa, lungo il sentiero che conduce dal paese di San Rocco fino alla scogliera di Punta Chiappa, esisteva una trattoria degna di essere raggiunta esclusivamente a piedi. Uno dei posti più belli del mondo. Era qui che decisi di regalare a Daniela l’anello di fidanzamento, un simbolo speciale in un luogo veramente speciale.
Finita la cena tornammo sui nostri passi nel buio della notte. Era maggio e fu un momento di magia pura perché venimmo contornati da migliaia di lucciole che accompagnavano il nostro cammino.
Fine Aprile 2020
E’ tarda sera e riesco a mala pena a percepire un luccichio nella tenda del salotto. Poi mi concentro e nuovamente appare quella luce magica ad intermittenza. Si, è proprio la prima lucciola della stagione, la raccolgo e la libero all’aperto rimanendo rapito dal suo fluttuare nell’aria.
Sono sempre stato attirato dai fenomeni naturali ma in questo periodo di vita sospesa, tutto, qualsiasi minimo dettaglio assume un significato particolare.
Siamo nel secondo mese di lockdown, di chiusura totale di buona parte delle attività, di distanziamento sociale da chiunque siamo abituati a frequentare. L’epidemia da coronavirus la fa da padrone. Quello che è sconvolgente e al tempo stesso confortante è che la natura fa il suo corso nella sua incredibile bellezza, noncurante di ciò che sta accadendo all’uomo.
In Piazza Alimonda a Genova è tutto serrato. Il silenzio è assordante, interrotto quasi ritmicamente dalle sirene delle ambulanze che corrono disperate al vicino ospedale. Solo la mia saracinesca è alzata assieme a quella del giornalaio di fronte a me. La legge me lo ha consentito.
Sicuramente in questo periodo avrei fatto volentieri qualcosa di diverso. Dopo mesi e mesi di lavoro intenso avevo programmato molte cose belle e speciali, eventi con gli amici musicisti, un concerto straordinario a Madrid, una vacanza rigenerante nell’isola di Lanzarote. La mia testa e il mio fisico ne avevano assolutamente bisogno e me lo ero meritato.
Ogni cosa saltò una dopo l’altra. Il covid non perdona, si diffonde con una velocità supersonica in ogni angolo della terra, con la mia rabbia che aumenta fino allo sconforto. E allora faccio quello che mi resta da fare, cioè lavorare. E’ nella mia natura.
D’altronde quando tanti anni fa, sciando, mi ruppi il trochite dell’omero, il mattino seguente, ancora inconsapevole del danno per errata diagnosi, mi trovai a sollevare un rottweiler e per un mese continuai a lavorare con un braccio solo. Per non parlare di pochi anni fa quando mi ruppi le ossa della mano sinistra e con i chiodi che mi uscivano dai metacarpi, già il giorno dopo l’intervento, ripresi imperterrito a lavorare.
D’altronde qualcuno mi aveva insegnato a camminare sui carboni ardenti non molto tempo fa, esperienza unica e piena di significato, che mi ha rafforzato e grazie alla quale tendo ad affrontare le vita a modo mio.
Quindi alzai la saracinesca, quasi convinto di impiegare il tempo per fare cose in studio che normalmente non riesco a compiere con serenità, cioè mettere in ordine, leggere, seguire nuovi aggiornamenti. Mi sbagliai.
Nelle prime due settimane di aprile, in pieno picco epidemico, effettivamente subii un tracollo di visite ma in compenso arrivarono decine e decine di telefonate e messaggi cui rispondere. Mi trasformai in veterinario telefonista cercando di risolvere a distanza quello che si poteva. Io ne ero felice. Era un modo importante per stare vicino ai miei clienti e per sentirmi utile saziando la mia passione per il lavoro.
Sfiorai in maniera infinitesimale la disperazione del momento quando mi fu chiesto da parte di una importante associazione che si occupa di malati terminali se avessi la disponibilità di reagenti per l’esecuzione di emogas. Un rapido tam tam aveva condotto al mio nominativo. Un medico si precipitò in studio a prendere il materiale. Non mi era mai successo in quasi trent’anni di lavoro.
Accolsi il racconto dei coniugi Arpi, miei fedeli clienti, con la loro incredibile ed innumerevole famiglia di Bouledogue francesi e di gatti persiani. La signora mi confidò che sua mamma di 69 anni, era in fin di vita nell’ospedale di Cincinnati in America. Aveva festeggiato pochi giorni prima con figli e nipoti tra i quali girava un pò di influenza. Fu tra le prime ad essere intubata in quella città.
Quel fine settimana tutti i fratelli si vestirono di bianco, chi dal Sudamerica, chi dagli Stati Uniti, chi dall’Italia, tutti collegati via computer per salutare per l’ultima volta la mamma a cui piaceva molto quel candido colore.
Non continuai per molto a fare il telefonista perché la natura nel bene o nel male continua a fare il suo corso. Il lavoro rientrò quasi inaspettatamente alla normalità, con casi complessi da risolvere, tumori pericolosi da estirpare, cardiopatici e diabetici da seguire.
Un cliente in attesa fuori dall’ambulatorio mi fece notare: “ Dottore, sono tornate le rondini e c’è anche una gazza ladra che sta facendo il suo lavoro !”
Era una giornata splendida come tante in questa parentesi di vita sospesa. Sono dettagli in grado di darci speranza e che vale la pena di cogliere.
L’altra sera ho visto la seconda lucciola di stagione nel mio giardino, volteggiare libera nell’aria.
Appena ci sarà possibile Dany ed io raggiungeremo al tramonto il monte di Portofino per assaporare la magia di quelle luci e il ritorno alla normalità.
Luca Ansaldo