IL DISPERATO CASO DI CICCI
Il lunedì è sempre una giornata delicata. Arrivi in studio e vieni mitragliato da decine di telefonate che non ti predispongono ad iniziare in modo sereno ed equilibrato la settimana lavorativa. I pochi spazi di respiro vengono rapidamente vanificati da appuntamenti che iniziano a affollare mio malgrado l’ambulatorio. Ed ecco…PAM.. la telefonata che non avresti voluto e che, secondo la ben nota legge di Murphy (secondo la quale se qualcosa di negativo e nefasto può avvenire, sicuramente si verificherà) ti piomba addosso, con esplicita richiesta di un domicilio nel centro storico di Genova.
E’ una farmacista che mi parla. Mi racconta di un giovane gatto che vomita e del suo anziano proprietario che chiede aiuto. Guardo la mia sfilza di appuntamenti e dopo un lungo e ponderato respiro mi sbilancio e confermo la mia visita per l’ora di cena. Le informazioni sul caso sono scarne: un gatto maschio, di quattro anni, che non mangia da un pò e che vomita. Penso subito al peggio, me lo sento colare giù dal naso. Potrebbe essere un blocco uretrale, una delle cose peggiori che possa capitare ad un giovane gatto e soprattutto in grado di ucciderlo in poche ore.
Dopo la baraonda in studio preparo la borsa e raggiungo con la macchina il parcheggio strategico di Piccapietra a monte del quartiere storico di Genova. Siamo a maggio del 2019 in una bella serata primaverile. Devo raggiungere Via Luccoli e la discesa lungo gli angusti e freschi carruggi mi tonifica. L’aria che qui si respira è unica. E’ la stessa aria che si respirava secoli fa tra questi palazzi di altri tempi.
E’ l’aria di un quartiere intriso di contrasti fantastici, dove botteghe storiche sopravvivono alla faccia dei grandi supermercati che altrove, dopo aver soffocato i piccoli negozianti, si fanno ora competizione tra loro. E’ l’aria della zona del ghetto dove l’attività dei trans non conosce la differenza tra il giorno e la notte e dove l’incredibile e accurata pulizia dei suoi vicoli fa invidia ai quartieri ben più signorili della Superba. E’ l’aria dove le favole cantate dal museo di Fabrizio De Andrè echeggiano a pochi metri da chi si ostina, vincendo, a produrre dischi in vinile di musica prog e hard rock e a venderli a tutto il mondo.
Qui ciò che è anormale, diventa la regola e tutto può apparire più difficile, come raggiungere l’abitazione del Signor Saraceni. Il palazzo nasconde varie cancellate e parecchie scale da salire e scendere prima di raggiungere la soglia. In mezzo al corridoio di un angusto appartamento, ecco Cicci agonizzante per terra. Palpo l’addome ed in mezzo secondo avverto la gravità della situazione. Da una parte ho un proprietario molto anziano, solo e con gravi problemi di salute, dal momento che non riesce a tenere ferme le braccia, continuamente in movimento oscillatorio a causa di una malattia neurologica non ben identificata.
Dall’altra ho un caso ancora più disperato, un blocco uretrale, provocato da cristalli di struvite che hanno formato un vero e proprio tappo allo sbocco dell’urina. Questi microscopici calcoli crescono e si moltiplicano in un ambiente con un ph alcalino e l’unica prevenzione è quella di somministrare ai gatti predisposti alimenti ricchi di sostanze acide in grado di abbassare il ph per scioglierli.
In una situazione di blocco uretrale, nonostante l’impossibilità di urinare, i reni continuano a produrre urina che si accumula nel sacco vescicale. Rapidamente si instaura un’insufficienza renale acuta, la vescica diventa iperdilatata e dura come una pietra. Il potassio va alle stelle con conseguenze cardiache devastanti. La soluzione è lo sblocco immediato dell’uretra e la correzione di tutti gli squilibri elettrolitici e metabolici.
Cerco di spiegare in parole semplici il problema al Signor Saraceni che si ostina invece in una sua convinzione: che la causa di tutto sia che Cicci abbia leccato le urine di un cane malato. Non riesco a fargli cambiare idea al riguardo ma mi permette di portare il gatto in ambulatorio per fare tutto ciò che posso per salvargli la vita.
Sistemo il micio in un trasportino e mi avvio in salita a raggiungere la macchina. Sono stanco, affannato. Mi chiedo chi me lo fa fare a 54 anni al termine di un dura giornata, di sbattermi così tanto. Guardo il trasportino e vedo Cicci con i suoi occhi che mi fissa. La risposta ce l’ho lì, pronta.
Una volta in studio raccolgo le energie e in un battibaleno gli induco l’anestesia, sblocco l’uretra con un apparecchio ad ultrasuoni, inserisco un catetere con un diametro di quasi due millimetri e preparo gli esami del sangue. L’urina prelevata è oramai sangue schietto. La creatinina vola ad oltre 15 quando i valori basali sono sotto 2, e l’azotemia è alle stelle.
Lo ricovero e lo tengo sotto fluidoterapia 24 ore su 24 per ben cinque giorni fino a che i valori renali non tornano normali. Ma Cicci non mi dà grandi soddisfazioni. Quel gattone nero si dimostra molto arrabbiato nei miei confronti e rifiuta drasticamente di mangiare tutto ciò che gli propongo. Ogni giorno che passa sprigiona però maggiore energia e mi convince che sia arrivato il momento giusto per riportarlo a casa.
Lì avviene la trasformazione. Appena uscito dal trasportino Cicci si precipita dal proprietario per strusciarsi sulle sue gambe. Poi viene da me ed inizia finalmente a fare un mare di fusa. Sono felicissimo.
Le cose però spesso non prendono il verso giusto. La storia di Cicci potrebbe finire già qui con un lieto fine. Ed invece due giorni dopo, quando oramai mi sto godendo il mio successo, mi richiama il Signor Saraceni per dirmi che il micio non mangia ancora e che ha molta difficoltà nell’urinare. Mi precipito a casa sua e con orrore palpo nuovamente una vescica dilatata, nonostante il gatto sia ben più tonico rispetto alla prima visita. Se ne saltella da una parte all’altra dei mobili mentre cerco di spiegare l’importanza di fare un altro cateterismo. Ma il Signor Saraceni non ne vuole sapere. Mi spiega che per lui è impossibile somministrare la terapia che ho prescritto e insiste sul fatto che il tutto è in realtà provocato da quella benedetta urina di cane inavvertitamente leccata.
Sono affranto e fin troppo consapevole che se non faccio nulla, le speranze di vita per il gatto potrebbero affievolirsi.
D’istinto inoculo al micio un antinfiammatorio e un antibiotico che gli dà una copertura di qualche giorno. Saluto il proprietario e me ne vado via incavolato e non facendomi pagare dal momento che lui non mi ha permesso di fare quello che io ritenevo fosse necessario.
Non ne so più nulla finché tre settimane dopo mi richiama il Signor Saraceni mentre guido in autostrada alla volta dello studio. Mi dice che il gattone nero mangia, sta bene ma ha delle strane piaghe sulla pelle. Non vedo l’ora di rivederlo.
Piombo quella sera nel centro storico fino a trovarmi di fronte ad un essere felice e saltellante. Cicci urina alla grande e le piaghe non sono altro che reazioni necrotiche che talvolta gli antibiotici possono provocare quando vengono inoculati sotto la pelle.
Mai un effetto collaterale negativo è stato da me tanto desiderato. Senza quella reazione forse non avrei mai più saputo nulla sull’evoluzione positiva di un caso così disperato. E sicuramente non avrei mai potuto scrivere una storia che secondo la legge di Murphy sarebbe dovuta finire male e che invece grazie alla mia caparbietà e a un pizzico di fortuna è svoltato nel migliore dei modi.
Luca Ansaldo